tratto da Focus (leggi articolo originale)
La tecnica per creare i “vecchi Ogm” (gli organismi geneticamente modificati) è superata da nuovi metodi che promettono precisione e risultati migliori, oltre che maggiore sicurezza. Questo almeno è quello che promettono alcuni agronomi che si occupano di migliorare (un gene alla volta) le piante coltivate.
La tecnologia che vogliono usare è quella definita Crispr/Cas9, che, sottolineano i ricercatori, non utilizza geni estranei agli organismi da modificare (apporta “solo” cambiamenti all’interno del patrimonio genetico della specie). Proprio per questo motivo l’approccio è detto di “editing del genoma” piuttosto che di “modificazione genetica degli organismi”.
Liberi tutti? Rassicurati da questo approccio più preciso (almeno in apparenza), i funzionari del Dipartimento dell’Agricoltura USA (USDA) hanno dichiarato che alcune specie, per adesso la soia, un fungo e il falso lino (Camelina Sativa) possono essere progettate, modificate coltivate e immesse sul mercato senza sottostare alla regolamentazione governativa. Una decisione probabilmente facilitata dalle posizioni dell’attuale amministrazione USA, che non vede di buon occhio gli osta.
I metodi precedenti per creare Ogm si basavano su tecnologie non così precise, con le quali era possibile, usando virus delle piante, inserire frammenti di Dna estraneo nelle piante coltivate. Non si poteva però conoscere con precisione dove questi geni sarebbero andati a collocarsi all’interno dei cromosomi, e questo non permetteva di avere piante uniformi e dal comportamento predefinito e costante.
Anche con questa tecnica imprecisa, però, i pareri sulla sicurezza alimentare degli organismi geneticamente modificati erano largamente positivi, almeno per quanto riguarda l’aspetto alimentare. Le ricerche e l’applicazione su larga scala in questo campo erano comunque limitate a poche specie (mais, soia, cotone) e con poche modifiche, che andavano dall’introduzione di “geni insetticidi” a quelli di resistenza agli erbicidi.
Taglia e cuci. La tecnica CRISPR/CAS9 USA invece enzimi che tagliano e/o sostituiscono con precisione pezzi di DNA nel genoma bersaglio. Per questo le tecnologie di editing del genoma consentono di aggiungere, rimuovere o modificare materiale genetico in determinati punti del genoma, un pò, dicono gli scienziati, come potrebbe accadere anche in natura con le varie mutazioni, che prendono nomi diversi a seconda di ciò che accade.
Con la Crispr i biologi molecolari vorrebbero creare piante caratterizzate da maggiore conservazione e con sapori migliori, oltre che con un’aumentata capacità di fare fronte alle pressioni ambientali. Sono allo studio fragole molto dolci, pomodori più saporiti e mais resistente alla siccità. Dall’agricoltura all’allevamento, ci sono anche progetti per creare mucche senza corna.
Spighette. Un altro esempio dell’utilizzo di nuove tecnologie per conoscere e modificare le piante coltivate è riportato nello studio pubblicato da The Plant Cell (qui riassunto in inglese): alcuni ricercatori hanno determinato qual è il gene che influenza la struttura del fiore del grano tenero (il frumento, il triticum aestivum), una psecie importante per la nostra alimentazione.
Questo gene, chiamato TB1, cambia l’architettura dell’infiorescenza del grano: conoscerlo e modificarlo potrebbe aiutare ad aumentare la produttività del grano.
Passare dalla ricerca all’applicazione potrebbe non essere così semplice, però, perché molti caratteri delle piante (e del grano in particolare, che ha un genoma molto complesso) non sono determinati da singoli geni, ma dall’interazione fra molti di essi. La precisione del metodo “un gene alla volta” potrebbe non essere sufficiente, senza una visione globale del sistema genetico dei vegetali.