tratto da Il Corriere (leggi articolo originale)
Si profilano grandi manovre sui grani antichi e diverse correnti di pensiero. Perché sempre più pastifici e panifici chiedono farine ottenute da varietà dimenticate — virtuose e cariche di suggestione, ma con una bassa resa — in risposta al numero crescente di consumatori attenti al cibo-benessere legato a stretto filo col territorio.
VARIETA’ – Si muove l’Università. «Da quindici anni operiamo sul recupero di frumenti teneri quali Gentil Rosso, Andriolo, Inallettabile, Frassineto e Verna (la filiera granovirgo.it ha permesso ai coltivatori di guadagnare nel 2016 dai 1.500 a 1.800 euro ad ettaro seguendo un disciplinare di produzione bio); adesso con il progetto Bio Adapt finanziato dal Psr dell’Emilia-Romagna — spiega il coordinatore Giovanni Dinelli del dipartimento di Scienze Agrarie di Unibo — stiamo incrociando le vecchie varietà al fine di costituirne delle nuove più performanti e appetibili per l’industria molitoria».
Esempio, l’Inallettabile (un grano assai produttivo e poco suscettibile all’allettamento) con il Verna (dalle alte proprietà nutraceutiche) oppure con l’Andriolo che dà buone rese in collina e possiede caratteristiche tecnologiche adatte alla trasformazione.
Difficoltà? «Il W-fattore di panificabilità di queste farine parte da 40 quando solitamente i fornai usano miscele con un indice compreso tra 250 e 400, quindi si richiedono processi di lavorazione più delicati». Così, aggiunge il collega Gian Gaetano Pinnavaia, «aiuteremo i mugnai a preparare nuove miscele per la produzione di pane, pizza, grissini e cracker».
Un campo di grano di varietà Andriolo
DIGESTIONE – Con buona pace della nostra salute. «Sono grani promettenti — dice Alessandra Bordoni del dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari — spesso utilizzati per fare farine integrali, per cui l’apporto maggiore di fibre ne aumenta il valore nutrizionale; talora con un contenuto di sali minerali più alto. Tuttavia, sebbene essi sembrano meglio tollerati, non sono idonei per i soggetti celiaci».Si muovono soprattutto le sementiere e i consorzi. Debutta il grano duro Senatore Cappelli della Sis, varietà con oltre un secolo di vita creata dal genetista Nazareno Strampelli. «Ci attendiamo una buona resa anche in collina (fino a 30 quintali ad ettaro) sui primi 1.000 ettari coltivati in Italia, di cui 200 in Emilia-Romagna tra Bologna, Ferrara e Piacenza» dichiara il presidente Mauro Tonello. Gli agricoltori stipulano un contratto di semina e conferimento del prodotto che garantisce dai 60 (in convenzionale) agli 80 euro (se bio) al quintale. Che non sono tanti. Come li avete convinti? «È una filiera produttiva che crede nella sostenibilità ambientale e nella necessità di investire parte delle risorse in ricerca», ribatte. Del resto le richieste dell’industria superano di gran lunga l’offerta; in squadra «il Pastificio biologico Sgambaro, Pasta Zara, la Bia di Argenta che fa cous cous e vari mulini». E alle accuse di monopolio risponde: «Si tratta di una proposta commerciale che mira a garantire un reddito all’agricoltore». Sul Verna e il Gentil Rosso? «Incoraggiamo i contratti monovarietali: proprio la Gdo — fa notare il numero uno della Sis — sollecita grani del territorio».
LA POSIZIONE – Intanto Alce Nero ricorda «di essere stato il primo produttore di Senatore Cappelli grazie al lavoro decennale svolto con Unibo e Unifi sul valore nutrizionale del grano e che, oggi, la Sis ha acquisito l’esclusiva della riproduzione e della distribuzione». Va giù duro il presidente Lucio Cavazzoni: «Siamo per i “semi liberi” e non investiamo sui grani monopolistici. Ci concentreremo probabilmente su altri duri dalle caratteristiche analoghe e che stanno crescendo bene — Tripolino, Tumilia, Russello, Urria — selezionati per il loro glutine con basso potere di stimolo infiammatorio». In futuro? «Dagli incroci nasceranno popolazioni più adatte al territorio e al clima. Depositeremo nuove varietà».Infine giocano da soli gli imprenditori dei cereali e cominciano a produrre farine. Giovanni Bertuzzi discende da una famiglia di produttori di grano della Bassa Bolognese. Dopo l’esordio boom sul mercato con 6 quintali di pacchetti monovarietali Verna (da agricoltura convenzionale, macinazione a pietra tipo 1, con W ideale per prodotti a lunga lievitazione) ora rilancia: «Quest’anno conto di destinare alla trasformazione circa 2 ettari».