Pubblicato su Inea.it
Il mercato fondiario italiano ha registrato nel 2012 un altro anno di rallentamento, sia per quanto riguarda l’attività di compravendita sia in termini di quotazioni.
Gli operatori del settore, intervistati nel corso dell’annuale indagine svolta dalle sedi regionali dell’INEA, sono concordi nell’affermare che gli scambi si sono ulteriormente ridotti rispetto agli anni precedenti. La riduzione del volume delle compravendite si è riflessa anche sulle quotazioni che per la prima volta da vent’anni a questa parte hanno registrato il segno negativo come media nazionale. Il prezzo della terra è diminuito in modo impercettibile (-0,1%) in termini nominali, ma se si tiene conto del tasso di inflazione la contrazione è piuttosto rilevante (-3,1%) e va ad aggiungersi alle riduzioni in termini reali registrate dal 2008. Considerando l’incremento generale dei prezzi, il patrimonio fondiario italiano, in media, vale il 93% di quanto valeva nel 2008.
La diminuzione del prezzo medio, per quanto debole, è il risultato di andamenti territoriali parzialmente inaspettati. Sotto il profilo geografico si conferma la graduale divaricazione dei valori fondiari tra le regioni settentrionali e quelle centrali e meridionali, ma mentre negli anni precedenti la crescita dei valori al Nord riusciva a compensare la stasi delle quotazioni nel Mezzogiorno, nel 2012 si evidenzia un cedimento delle quotazioni anche in regioni come Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige, dove i valori fondiari sono generalmente più elevati e la domanda più sostenuta. In secondo luogo il prezzo della terra diminuisce in misura relativamente più elevata nelle zone di pianura, malgrado tali aree siano più ricche di terreni
fertili e dotati di buone infrastrutture dove si concentra la maggior parte dell’attività di
compravendita. Una prima ipotesi che potrebbe spiegare l’andamento in flessione riguarda il graduale processo di aggiustamento dei prezzi a cui si sta assistendo, in conseguenza della crisi economica e dei
nuovi scenari che hanno caratterizzato l’agricoltura europea nell’ultimo decennio. La difficoltà di accesso al credito rimane uno dei fattori che limita le potenzialità della domanda degli agricoltori professionali che sono ancora interessati a consolidare la struttura aziendale per aumentare le economie di scala. D’altra parte gli acquirenti extragricoli sono frenati dalla mancanza di liquidità e dalle prospettive incerte per la redditività del settore, anche se non manca l’interesse di investitori, anche stranieri, per acquisizione di aziende intere o per corpi fondiari di una certa rilevanza situati in zone particolarmente pregiate.
Oltre alla crisi economica, l’agricoltura italiana risente anche delle mutate condizioni di mercato e degli sviluppi della politica agricola sempre più orientata verso una riduzione del sostegno ai redditi. È probabile che, in un contesto caratterizzato da elevata volatilità dei prezzi e da prospettive di ulteriori contrazioni degli aiuti al reddito, gli agricoltori anziani e quelli meno professionali abbandonino il settore anche attraverso la vendita del fondo. Sembra venuto meno anche l’effetto sulla domanda degli incentivi per le fonti energetiche rinnovabili che in contesti locali avevano portato il valore dei terreni a livelli particolarmente elevati. Inoltre l’introduzione dell’IMU per i terreni agricoli ha ridotto ulteriormente le aspettative degli investitori.
A fronte di prezzi della terra che nell’ultimo decennio sono stati ritenuti in molti casi non compatibili con la normale redditività agricola, la flessione delle quotazioni potrebbe continuare anche nel prossimo futuro. Va aggiunto che non sembra possibile generalizzare questa prospettiva, considerato l’andamento differenziato che caratterizza il mercato fondiario a livello territoriale. Inoltre il riallineamento tra valori fondiari e redditività potrebbe rimettere nuovamente in gioco gli agricoltori che sono interessati a investire nella propria impresa.
Di Andrea Povellato (INEA)
Il mercato degli affitti nel 2012
Nel 2012 la domanda di terreni in affitto ha continuato a prevalere sull’offerta nelle regioni settentrionali, dove il mercato ha mantenuto la sua tradizionale dinamicità, a eccezione di alcune aree che hanno registrato una diminuzione del numero di trattative in quanto soggette all’abbandono dell’attività agricola a causa degli elevati costi di produzione o influenzate dalla competizione per suoli a potenziale destinazione urbanistica. Sono risultate in diminuzione le contrattazioni di lungo periodo, mentre i canoni sono rimasti tendenzialmente stabili, sebbene legati alla tipologia di coltura praticata o alla utilizzazione agroenergetica. Nelle aree montane sono aumentate le richieste per malghe e pascoli, anche a seguito dell’esigenza di adeguare il carico animale secondo quanto richiesto dalla direttiva sui nitrati.
Nelle regioni centrali la situazione rimane sostanzialmente stabile, anche se sono stati segnalati alcuni incrementi dei canoni. Nelle regioni meridionali è proseguita la regolarizzazione dei contratti, in alcuni casi imposta dalle regole di accesso alle misure dei PSR, ma sono ancora frequenti gli accordi verbali e pagamenti in natura. Sempre più diffuse le contrattazioni stagionali, non solo nel caso di terreni destinati a colture orticole per via delle esigenze agronomiche di rotazione legate alle problematiche di stanchezza del terreno, ma anche per i vigneti dove gli operatori hanno segnalato forme contrattuali limitate a una sola annata, per cui, ad esempio, le cantine prendono direttamente in gestione i vigneti al fine di garantire il
soddisfacimento di accordi commerciali preventivati. Anche in queste regioni è continuato l’abbandono delle attività agricole con un conseguente incremento delle superfici offerte in affitto.
Secondo l’ultimo censimento l’affitto interessa quasi 5 milioni di ettari (il 38% della superficie agricola nazionale) e si consolida come principale strumento di ampliamento delle superfici aziendali in tutta Italia, probabilmente a causa della lunga congiuntura negativa e della conseguente difficoltà nel mercato delle compravendite. In linea generale, il ricorso all’affitto è stato favorito dall’incerta evoluzione delle politiche agricole sebbene si tenda a contratti di durata più breve in attesa che si delinei il nuovo quadro delle politiche comunitarie. Si è rafforzato anche il ruolo e l’importanza dei contoterzisti, che oltre a ottimizzare l’utilizzo del parco macchine combinando le prestazioni di servizi con la lavorazione di fondi propri, spesso
stringono accordi di coltivazione con i proprietari in possesso di titoli di aiuto al reddito.
L’aumento delle imposte sul capitale fondiario sembra abbiano comportato un certo irrigidimento nelle trattative da parte dei concedenti.
In futuro le contrattazioni e i canoni sono attesi in crescita anche a causa del perdurare della crisi economica oltre che per l’insediamento di giovani agricoltori. Inoltre, gli orientamenti della futura PAC a favore degli imprenditori agricoli definiti “attivi” potrebbero incentivare i soggetti “non attivi” a cedere in affitto i terreni.
Di Davide Longhitano (INEA)