PAVIA. La provincia di Pavia è uno dei maggiori poli di attrazione per i lavoratori agricoli e nella mappa delle aree a rischio sfruttamento lavorativo in agricoltura elaborata dalla Cgil Lombardia è considerata una zona ad alto rischio, in cui sono diffuse condizioni di lavoro catalogate come indecenti. Le principali forme di illegalità? «Caporalato, sfruttamento, truffe dei salari non pagati, procedure di appalto lesive dei diritti dei lavoratori nella macellazione, panificazione e nella lavorazione del latte e dei suoi derivati» avverte Simone Accardo, segretario provinciale Flai Cgil.
I dati del primo rapporto Agromafie e caporalato sono stati esposti ieri alla tavola rotonda “Vivere la terra, il lavoro, la legalità, i diritti” e la Cgil ha messo sul tavolo l’idea di un patto territoriale con le aziende agricole, le istituzioni preposte ai controlli dalla Direzione territoriale del lavoro all’Asl, per contrastare l’illegalità nel settore agroalimentare lombardo con le imprese che puntano sulla legalità come parte della qualità dei loro prodotti.
Dagli stipendi da fame di Castelnuovo Scrivia sfociati nelle proteste dell’anno scorso agli accampamenti in val Versa di chi arriva da mezza Europa nella speranza di un lavoro occasionale la casistica di irregolarità in provincia è varia. «Occorre far tornare la vendemmia una festa – ha detto il segretario della Cgil Pavia Renato Losio – restituendo diritti ai lavoratori e tranquillità ai paesi che ospitano queste migrazioni. Con la crisi si fa più forte il conflitto tra i giovani o disoccupati locali che vogliono lavorare per guadagnare qualcosa, e i lavoratori stagionali che accettano condizioni terribili pur di lavorare».
«Gli occupati in Lombardia nel settore agroalimentare sono circa 100mila – spiega Fulvia Colombini, segretario Cgil Lombardia – Pavia ne conta 8500, 4mila nell’industria e 4500 nell’agricoltura: la provincia è tra le aree che più necessitano di manodopera aggiuntiva in periodi come la vendemmia in Oltrepo, attraendo molta manodopera straniera». Quasi 4 lavoratori su 10 in agricoltura svolgono meno di 50 giornate di lavoro all’anno, un rapporto su tre presenta qualche forma di irregolarità. «Nella nostra provincia – prosegue Accardo – il lavoro agricolo inizia tra gennaio e febbraio e finisce ad ottobre, con punte fino a novembre e dicembre, unica in Lombardia. I lavoratori, soprattutto stranieri (indiani, poi pakistani, romeni e albanesi) arrivano da Piacenza, finito a Pavia solitamente si spostano verso Brescia». «C’è un forte nesso tra lavoro sommerso e prassi di intermediazione illecita – spiega Colombini – che si traduce in lavoro grigio e nero, caporalato, ore denunciate inferiori a quelle realmente lavorate. E’ concorrenza sleale tra le imprese: lavoriamo a un modello trasparente di incontro di domanda e offerta di lavoro, alla corretta remunerazione, della tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, premiando la qualità e la legalità delle imprese che aderiscono ai patti». Apertura da parte della provincia, rappresentata dal presidente Daniele Bosone e da Luiciano Nieto, direttore di Confagricoltura, che però afferma: «Con le aziende sempre più grandi l’irregolarità cala. Ma niente accanimento».