Cosa è la pratica delle aste a doppio ribasso? Cercheremo di spiegarlo in questo breve articolo.
Le aste on line al doppio ribasso sono metodi sleali con i quali si impongono unilateralmente agli agricoltori prezzi troppo bassi pensati ‘a monte’, costringendoli a tagliare i costi di produzione, permettendo così la nascita del ‘sottocosto’ dell’acquisto dei prodotti agroalimentari.
Queste pratiche attuate da alcuni gruppi della grande distribuzione risultano insostenibili per la maggior parte dei produttori e trasformatori e mandano in crisi il settore agricolo. Una grande catena di distribuzione ad esempio è stata protagonista di una doppia asta al ribasso per una grossa partita di passata di pomodoro che è stata acquistata a 31,5 centesimi a bottiglia.
Aste on line al doppio ribasso: come funzionano.
Le grandi aziende di distribuzione chiedono agli agricoltori un’offerta di vendita per i prodotti agricoli dopodichè, raccolte le proposte, viene indetta una seconda gara che usa come base di partenza l’offerta più bassa. Tra le aziende agricole si scatena così una gara per abbassare i costi di produzione, direzione che incide sulla qualità dei prodotti aumentando lo sfruttamento dei lavoratori; un processo dunque che a ‘cascata’ investe poi tutti i settori della filiera agroalimentare.
Un settore particolarmente interessato dalle aste al doppio ribasso è quello dei cosiddetti freschi ossia, del mercato ortofrutticolo.
In questa tipologia di mercato, la filiera produttiva è composta da: produttori, rivenditori e intermediari.
I prezzi vengono definiti tramite delle aste, in cui i compratori cercano di aggiudicarsi la frutta al prezzo migliore. Le partite di ortofrutta vengono prima visionate dai compratori ed i prezzi vengono successivamente battuti all’asta in una sala attrezzata con monitor ed orologio, come una vera e propria asta.
Le aste nel settore ortofrutticolo sono una forma antica di vendita, grazie alle quali vengono garantite la freschezza e la qualità della merce trattata. La merce, infatti, proviene in linea diretta dai migliori agricoltori che durante tutto l’anno si dedicano alla produzione, garantendone un’elevata qualità.
Solitamente le aste hanno luogo tutti i pomeriggi dal lunedì al sabato, in modo da lasciare le mattine libere per la raccolta ed il trasferimento della merce in sede.
Questa tipologia di vendita è stata ideata anche per agevolare la catena produttiva, in modo che i prodotti arrivino freschi entro massimo 24 ore nei vari mercati e di conseguenza sulle tavole dei consumatori finali.
I prodotti immessi sul mercato con questa procedura di vendita a differenza dei prodotti importati dalle gdo (Grande Distribuzione Organizzata) sono sicuramente di altissima qualità in quanto per essere accreditati come produttori e fornitori delle merci occorre avere un elevato standard qualitativo relativo alla semina, coltivazione e raccolta dei prodotti ortofrutticoli.
In questo settore le case d’asta non solo offrono la loro struttura, la logistica e i vari strumenti tecnici per lo svolgimento delle aste, ma anche un importante servizio di aggiornamento (ai vari attori della compravendita) relativo alle varie normative e direttive che la Unione Europea rilascia ogni anno.
La maggioranza delle gare, tuttavia, è al massimo ribasso.
Posto che sicuramente non è il meccanismo dell’asta a essere eticamente discutibile, lo è, piuttosto, lo stabilire un prezzo a base d’asta manifestamente incongruo.
Diventa quindi necessario, il ruolo del consumatore chiamato a chiedersi come mai un prodotto agroalimentare, che pure ha i suoi costi di produzione, alla fine gli costi così poco.
Quando i prezzi sono molto bassi, infatti, è facile pensare che il produttore, costretto dalla crisi, faccia la ‘cresta’ su qualcosa e, troppo spesso quel ‘qualcosa’ può riguardare il lavoro, favorendo quell’area grigia in cui si collocano i temi dello sfruttamento, della legalità, dell’ambiente, della qualità, della tutela degli agricoltori oppure l’uso di contaminanti nella produzione come, ad esempio, pesticidi.
Le normative
Esistono diversi regolamenti UE che sostengono lo sviluppo rurale, da quelli che istituiscono un’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, a quelli che stabiliscono norme specifiche per le organizzazioni di produttori, le associazioni di organizzazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali ma non risulta, ahimè, un regolamento che stabilisca come prezzo minimo da liquidare ai produttori agricoli quello risultante dal costo medio di produzione aumentato dell’8/10%.
In quest’ottica si pongono infatti le proteste ricorrenti degli agricoltori dettate proprio dal livello non redditizio dei prezzi (da quella dei pastori sardi e lucani, che hanno avuto ampia eco sulla stampa per il polemico e disperato sversamento del latte sulle strade, a quelle ormai abituali degli allevatori di vacche, dei produttori di grano, di pomodoro da industria, di agrumi…). Se l’industria riconoscesse i costi di produzione aumentati del 10%, i produttori non protesterebbero affatto e, non ci sarebbe l’esodo dalle campagne: nel 1990 le aziende agricole erano 3.023.344, nel 2017 sono crollate a 1.516.135: dimezzate in un quarto di secolo.
Nell’ambito del “High level Forum for a better functioning of the food supply chain” (Forum di Alto livello per un miglior funzionamento della filiera alimentare), la Commissione europea e i rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario hanno stabilito i principi di buone prassi il cui mancato rispetto costituisce condotta commerciale sleale.
In attuazione di questi principi, le disposizioni dell’articolo 62, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, stabiliscono che i contratti devono essere informati a principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, vietando qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga direttamente o indirettamente condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose.
Un agricoltore, ma potrebbe farlo anche un’organizzazione di agricoltori, che ritenga si configuri a suo danno una pratica commerciale sleale può segnalare il fatto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o al ministero delle Politiche Agricole.
A giugno 2017, tra ministero delle Politiche agricole, Federdistribuzione e Conad, è stato siglato un protocollo per promuovere, attraverso un codice etico, pratiche commerciali leali lungo l’intera filiera agroalimentare, con l’impegno dei contraenti (tra loro manca Eurospin) a non far ricorso ad aste elettroniche inverse al doppio ribasso per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari.
Nell’aprile 2019 Commissione, Parlamento europeo e Consiglio hanno approvato la direttiva 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. A metà dell’anno scorso la Camera ha approvato il disegno di legge in materia di vendita sottocosto, divieto di aste a doppio ribasso e disciplina delle filiere di produzione, provvedimento per altro che è ancora all’esame del Senato a firma di Susanna Cenni.
Infatti, una delle soluzioni più significative sarebbe l’introduzione di agevolazioni e sistemi premianti per le imprese agricole che aderiscono alla Rete del lavoro agricolo di qualità, già previsto dalle norme contro il caporalato, così come disposizioni a sostegno delle imprese che promuovono filiere etiche di produzione per altro, già considerate nella norma in stallo al Senato.
Sarebbe un piccolo grande passo utile a promuovere pratiche commerciali leali lungo l’intera catena alimentare.
Delle aste a doppio ribasso leggi anche l’articolo ‘Presadiretta…un’occasione sprecata‘ .