Gli ultimi dati INEA tratti dall’Annuario dell’agricoltura, da oggi disponibile in rete sul proprio sito sono impietosi e fanno giustizia di ogni residua ipocrisia (http://www.inea.it/annuario/edizione_2012).
“Valore aggiunto in picchiata nel 2012 (-4,4% sull’anno prima) per l’agricoltura italiana ……. Viceversa, l’industria alimentare ha rafforzato le proprie posizioni con valore aggiunto in crescita del 3,4% e fatturato a +2,3 per cento, grazie alla componente export(+5,6%). E in particolare, grazie ai prodotti tipici del made in Italy …….”
Appunto! Si sta compiendo il disegno: svuotare l’agricoltura italiana di funzioni produttive per consegnarla in mano ai padroni dei marchi del made in Italy che, così, hanno un grande valore aggiunto per competere sullo scenario dei mercati internazionali. Tranquilli, tutto va nella direzione giusta: è tutto scritto nelle scelte di trasformare l’agricoltura Europea da luogo di produzione di beni alimentari per i propri cittadini a grande mercato di consumo governato dai nuovi padroni delle “filiere agroalimentari” e della finanza che si spartiscono le grandi praterie aperte dall’abbattimento delle frontiere e dalla liberalizzazione globalizzata. Del resto, siamo una grande piattaforma commerciale nel mezzo del Mediterraneo dove altri possono produrre la materia prima per i nostri grandi marchi di cui non siamo nemmeno padroni noi. Da quanto tempo nei marchi di pasta italiana non c’è più il grano prodotto dai nostri agricoltori? Come non vedere che la Toscana è la regione italiana che più importa olive? I nostri agricoltori, ad ogni modo, non devono morire … altrimenti come si giustifica tutto questo export e tutto questo Made in Italy? Basta che non esagerino, però: continuino pure a fare folclore, magari mercatini a Km 0, serve dire che esistono ancora …… magari con la flebo al braccio e in mano agli usurai. Altrimenti come può la Coldiretti magnificare le performances del Made in Italy e sventolare le sue bandiere gialle alle frontiere mettendo il cappellino di Campagna Amica in testa al Ministro complice di turno (ricordate la Degirolamo figlia di un dirigente Coldiretti che tanti danni ha fatto da Presidente di uno dei tanti Consorzi di Bonifica portati al fallimento?).
I nemici degli agricoltori e dei cittadini italiani, in realtà, non stanno fuori dall’Italia fra i truffatori e i contraffattori del Parmesan o dei marchi ma sono qui in mezzo a noi fra quanti difendono il Made in Italy “dimenticandosi” di difendere il lavoro dei nostri agricoltori e facendo finta di non vedere la loro crisi fino a negarla o, meglio, lavorando scientificamente per nasconderla e magari strumentalizzarla (hai visto mai che ci si guadagna qualcosa?).
La Coldiretti, con i suoi Uffici Studi (a proposito, vista la straordinaria mole di dati e comunicati con cui inondano i giornali di analisi sul mercato, i consumi, le abitudini alimentari, le sfumature di sapore di questo o quell’improbabile tipicità italiana, mi viene da chiedere dove troveranno mai il tempo di fare sindacato, ovvero di rappresentare gli interessi dei loro iscritti che sono pur sempre agricoltori) fa sapere ad ogni occasione ai cittadini (ed alla politica) che il contributo dell’agroalimentare italiano all’economia nazionale è sempre più determinante ed esalta, proprio, la straordinaria capacità dell’export del made in Italy di produrre valori economici positivi.
“A pensar male s’indovina sempre” recita un antico detto popolare ed, allora, mi viene da chiedere: positivi, per chi? Se “agroalimentare” è l’artificio lessicale per annacquare il senso ed il ruolo dell’agricoltura in un generico territorio fatto di esportatori, finanza, commercianti, ecc., sarà che tutto questo rivendicare le meravigliose capacità dell’export agroalimentare e del settore “agroalimentare” non serva alla Coldiretti, in realtà, per esercitare la pratica in cui sono ormai i maggiori esperti in Italia: quello di stare col cappello in mano della politica per spartirsi i lauti proventi dei finanziamenti pubblici e degli incentivi?
“L’ardua sentenza”, haimé, non può essere lasciata ai posteri. Tocca a noi, qui ed ora, rispondere costruendo l’alternativa di pensiero, critica. proposte e pratiche che riportino l’agricoltura in maniera corretta fuori dall’imbroglio del corporativismo tecnicista ed al centro della consapevolezza di quanto sia strategico per il Paese e i suoi cittadini mantenere la funzione produttiva delle aziende ed il lavoro agricolo di cura del territorio. Altro che “agroalimentare”.
Gianni Fabbris – Coordinatore Altragricoltura
Bellisssssimo articolo e finalmente qualcuno che parla sapendo le cose come realmente sono, senza ipocrisie. Sono anch’io agricoltore e mi domando come nessuno riesca a capire che gli agricoltori stanno sparendo, come pure il terreno su cui fare agricoltura. E stendiamo poi un velo pietoso sui Sindacati, vere sanguisughe dove tutti i servizi e anche la contabilità ,vengono fatti pagare in base al fatturato dell’agricoltore, a prescindere dal numero delle fatture o da quanto lo stesso incassa per la Pac anche se ha una sola coltura in tutti i suoi terreni. Ci troviamo un socio senza averlo mai chiesto e mai presente come tale quando c’è da lavorare.
ottimo articolo,
esistono almeno due cause della crisi dell’agricoltura:
1) l’incentivazione, la famosa PAC, che se da un lato aiuto l’agricoltore, dall’altro lo rende schiavo di una catena burocratica immane: deve comprare il seme certificato, spesso e volentieri non è adattato alla zona di coltivazione, e quindi c’è bisogno di concimi e fertilizzanti con ovvie conseguenze ambientali, deve passare obbligatoriamente per i caf di categoria, con versamento dell’obolo e deve disporre di contratti già firmati prima della raccolta che obbligano l’agricoltore ad accettare il prezzo dell’industria;
2) le continue leggi e vincoli che obbligano il contadino a disporre di ingenti finanziamenti per strutture a carattere industriale. leggi che non permettono più nemmeno l’agricoltura di sussistenza o diretta all’uso familiare, con la conseguenza della vendita dei terreni ad imprese di altri generi (sopratutto generazione di energia alternative o con il fitto per impianti fotovoltaici di più elevata remunerazione.
Come ben detto, rimane solo il brand Italia, il paese dove si mangia meglio nel mondo, ma oramai nessuno mangia più prodotti italiani.
Condivido tutto
Quesro articolo dipinge elogiamente la realtà agricola ed economica italiana,purtroppo governata da “Signori” che altrettanto elogiamente girano dalla loro parte tutti i profitti propri ed IMPROPI.Peruna forma di buncostume questi “signori” non possiamo giudicarli,saremmo cafoni o eversivi, ma chiunque abbia un minimo di Ragione, sa di che pasta sono fatti.