La responsabilità di raccontare storie e fare in modo che l’ambiente esterno le recepisca diventa fondamentale nel mio lavoro. Questa è la motivazione che sta alla base del mio operare e che porta sempre ad addentrarmi nei processi cercando di comprenderli per analizzarli. Le storie da raccontare nascono soprattutto dall’impressione chei loro protagonisti riescono a suscitare in chi deve raccontarle.
E quella di Emanuele Feltri, 34 anni, è una di queste. Una storia che non può lasciare certo indifferenti.
Emanuele molte passioni e tanta gioia di vivere, un sorriso contagioso che invita alla vita.
Qualche tempo fa questo ragazzo decide di abbandonare la frenetica vita di città per trasferirsi in una contrada, di nome Sciddicuni, nella valle del fiume Simeto. Una zona di campagna nota come terra di nessuno, perché su quel fiume i signori della malavita locale detengono un controllo pressoché assoluto per gli sversamenti illegali.
Ma Emanuele non ha paura e con vivo entusiasmo e caparbietà tira su una fattoria-bio, coltiva prodotti agricoli biologici e alleva animali.
Quegli animali che domenica scorsa, al ritorno da una giornata in città, trova tutti ammazzati davanti la porta della sua fattoria: un segno lanciato dai criminali della valle perché la smetta di stare in quel posto, perché vada via.
“Pesantissimo.“, continua sulla sua bacheca, “Sembra una scena di un film di mafia degli anni ’50 ma è successo davvero e a casa mia! Non è bello ritornare in campagna dopo una domenica a Catania e trovare le mie povere pecore morte sparate sul piazzale e la testa di una tagliata e messa davanti la porta di casa. Non posso dire altro e credo di essermi esposto abbastanza per difendere una vallata che la volontà comune vuole terra di nessuno!”
Emanuele lotta da anni per il riconoscimento e la tutela della Valle del Simento, luogo in cui risiede l’oasi di Ponte Barca nella contrada omonima in territorio di Paternò. Questa zona di particolare interesse naturalistico, ricade in un bacino artificiale che preleva acqua da Simeto per riempire l’invaso di Lentini.
La zona è potenzialmente un vero paradiso naturalistico: oltre ad ammirare la fauna selvatica è possibile godere di un paesaggio mozzafiato, tra le pendici verdi del vulcano e il giallo entroterra siculo. Antichi casolari rurali fanno capolino dalle creste delle “calanche” (colline argillose lavorate dal vento e l’acqua tanto da dargli delle forme bizzarre).
Tuttavia chi dovrebbe tutelare l’area non lo fa e costantemente un tappeto di copertoni, eternit e immondizia di ogni genere vengono scaricati sul posto e mai tolti. Così come i “vaccari” bruciano costantemente i cannizzi dove gli uccelli depongono le uova per procurarsi nuovo pascolo. Cadono costantemente nel vuoto gli esposti, le denunce, le telefonate ai vigili del fuoco.
Emanuele nelle note del suo profilo, su Facebook, si chiede che fine hanno fatto i fondi stanziati nel 2009 quando fu istituita l’oasi.
“Mi rendo conto, scrive Emanuele, che forse esistono problemi più gravi ma non dimentichiamo che se non riusciamo più ad indignarci, se non lottiamo per difendere il nostro territorio martoriato da speculazioni e abbandono la Sicilia non alzerà mai la testa! e continua “Sciddicuni esiste e resiste per ricordare che non bisogna essere super eroi per portare avanti i propri ideali, per testimoniare che a volte il coraggio sta proprio nel condurre la propria vita quotidiana con coerenza e senza compromessi. Io resto qui, non andrò via. E quando ci renderemo conto che ci stanno togliendo tutto, anche la possibilità di vivere in pace nella propria terra forse inizieremo a voler essere i reali protagonisti del nostro futuro“.
L’appello di Emanuele, la sua storia di resistenza alla criminalità non può non coinvolgerci comunità e va fortemente denunciata. Emanuele non andrà via dalla sua terra e noi non possiamo che condividere e sostenere la sua lotta e resistenza.
Le mafie si reggono, da sempre e sempre più, controllando il territorio e reprimendo gli spazi civili e sociali … reagire e ribellarsi in vaste aree rurali del Paese è diventata sempre di più una necessità e la via obbligata per ricostruire le condizioni minime in cui le comunità rurali possano continuare a gestire la terra ed a produrre il cibo. Funzione sociale dell’agricoltura, diritto a produrre ed a consumare il cibo, democrazia e impegno contro tutte le mafie sono fili di una stessa trama su cui rafforzare il rapporto fra cittadini e quanti si ostinano a gestire la terra.