Nel lungo processo di trasformazione dell’agricoltura italiana da luogo straordinario del lavoro della terra e produzione del cibo a piattaforma commerciale speculativa, in quaranta anni l’Italia ha perso il 28% del suo potenziale agricolo, circa 5 milioni di ettari solo negli ultimi tre decenni. Si è dimezzato il mais, ridotto di un settimo lo spazio della barbabietola, portando alla scomparsa degli zuccherifici, ridotto al 77% di soli 20 anni fa lo spazio per i frutteti. Eppure l’Italia tutela 5.155 prodotti alimentari tradizionali censiti, 297 specialità Dop o Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc e Docg, ha decine di migliaia di aziende che hanno vietato glifosato, Ogm e prodotti nocivi per la salute, ma soffre tremendamente la competizione globale.
In questo processo, gande ruolo ha avuto La PAC, la Politica Agricola Comune, nata per assicurare cibo ad un’Europa affamata che usciva dalla guerra costituendosi come grande sistema di wellfare che avrebbe dovuto governare e regolare le relazioni sociali ed economiche ma, oggi, sempre più strumento degli interessi delle lobbies speculative in nome dei quali introduce pesanti distorsioni alle regole ed alle politiche.
La Pac rappresenta infatti circa il 37% del bilancio dell’Unione e le sue risorse (circa 344 miliardi di euro previsti nel prossimo bilancio 2021-2027) e impatta direttamente o indirettamente sulla condizione di vita di milioni di aziende.
Condizione su cui pesa con pesanti distorsioni sulla vita delle aziende e del territorio: le sue politiche hanno favorito la concentrazione di terra nelle mani di pochi grandi soggetti (l’80% delle risorse va al 20% dei soggetti) e ha rallentato il percorso verso un’agricoltura ecologicamente più sostenibile e quindi il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti nell’Agenda 2030. Oggi l’agricoltura rappresenta più del 10% delle emissioni prodotte in Ue e di queste si stima che circa il 70% provenga dal settore animale, che occupa due terzi della superficie agricola europea.
Eppure, gli agricoltori italiani sono proporzionalmente molto meno dipendenti dai contributi Pac del resto d’Europa: il sostegno Pac contribuisce ai redditi dei coltivatori italiani per il 28,3%, mentre la media delle aziende europee riceve dalla PAC circa il 40% del proprio reddito. Questo è un indicatore chiaro di come la PAC, in realtà, penalizzi l’agricoltura produttiva italiana (ovvero quella mediterranea) e favorisca rafforzandole quelle di altri paesi con un’agricoltura continentale e più orientati alla trasformazione che alla produzione primaria.
Con una Pac che valorizzasse l’agricoltura mediterranea e, quindi, l’occupazione e la crescita, l’Italia avrebbe ricevuto ben più dei circa 2,5-2,7 miliardi di euro mediamente ricevuti ogni anno per veicolare politiche di mercato. Come non bastasse, per il periodo 2021-2027 l’Italia ha visto una decurtazione del 6,9% dei fondi Pac complessivi destinati al nostro Paese, nelle varie forme di cui i sussidi alle aziende sono una sola parte. Poco più di 36 miliardi di euro per sette anni i fondi assegnati, contro i 62,3 miliardi della Francia, i 43 della Spagna i 41 della Germania.
Da cosa ripartire, per far avanzare una proposta di riforma tanto più necessaria quanto urgente? Nel dibattito che si sta sviluppando in Europa sulla Riforma della PAC, noi scegliamo di partire dalle posizioni espresse dalle organizzazioni e dalle reti degli agricoltori che propongono la Sovranità Alimentare e che si sono organizzate e riunite nella rete internazionale nel Coordinamento Europeo di Via Campesina.
Nelle settimane scorse, il Coordinamento Europeo di Via Campesina ha compiuto due passaggi che ci aiutano a far partire la discussione fra di noi: ha dapprima inviato una lettera aperta ai parlamentari europei sollecitandoli a sviluppare posizioni coerenti nel definire le posizioni del Parlamento Europeo sulla Riforma ed ha, poi, espresso ua posizione chiara sulle contraddittorie decisioni assunte.
Si legge nella lettera aperta:
“Al Coordinamento europeo di Via Campesina è chiaro che questa corsa a chiudere i negoziati è dovuta alla paura che provano coloro che difendono l’attuale status quo della PAC, preoccupati dai cambiamenti che potrebbero essere apportati alla riforma della PAC in conseguenza del dibattito sul Green Deal, la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità.
Vedendo dove sta andando il dibattito al Parlamento europeo e al Consiglio, il Coordinamento europeo di Via Campesina, oggi, ha aspettative molto basse per la riforma in corso. Temiamo che, oltre a rinazionalizzare la PAC, tutto continuerà in continuazione con le riforme precedenti, mantenendo l’attuale concentrazione dei sussidi (continuerà, dunque, l’attuale restringimento dei prezzi di produzione). A questo si aggiunge una politica commerciale orientata al mercato mondiale, il che significa che gli agricoltori continueranno ad essere uno dei settori più poveri della società europea, con redditi inferiori del 50% rispetto al resto della società. L’attuale riforma non impedirà o risolverà la scomparsa di migliaia di aziende agricole ogni anno, l’invecchiamento della popolazione agricola, la desertificazione delle aree rurali, l’intensificazione dei modelli di produzione e il conseguente deterioramento della qualità del cibo e l’impatto negativo sull’ambiente, tra molti altri problemi.”
Il Coordinamento delle organizzazioni europee di Via Campesina fissa, poi, 6 focus precisi su cui chiede ai parlamentari di lavorare per una riforma equa che tuteli gli agricoltori, i lavoratori e i diritti dei cittadini garantendo una PAC dai contenuti agroecologici e sociali condivisi e che redistribuisca le risorse economiche.
A questa lettera di cui assumiamo tutti gli obiettivi e le valutazioni è seguita una presa di posizione chiara all’indomani delle posizioni espresse dal Consiglio Europeo sugli orientamenti della Riforma da cui, ancora una volta, vale la pena di partire per il dibattito e il confronto:
“
Il coordinamento europeo di Vìa Campesina (ECVC) critica le posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla PAC post-2020, che non saranno sufficienti per superare le sfide che devono affrontare gli agricoltori, i cittadini europei e il pianeta. Quelle posizioni renderanno difficile raggiungere gli obiettivi della PAC e, ancora di più, gli obiettivi della Commissione europea nelle sue politiche e le strategie fondamentali nell’ambito del Green Deal.
Per ottenere un cambiamento reale, sono necessari strumenti di regolamentazione del mercato capaci di generare prezzi che coprano i costi di una produzione sana e sostenibile. Perché sia possibile occorre un’adeguata ridistribuzione del sostegno al modello fondato sui piccoli e medi agricoltori.
In particolare, la posizione del Parlamento non porterà a una più equa distribuzione del sostegno perché i pagamenti ridistributivi e il limite dei pagamenti diventano facoltativi per gli Stati membri e viene eliminata la progressiva riduzione dei pagamenti per le grandi aziende agricole”
Ripartiamo da qui ed apriamo il confronto fra gli agricoltori
Editoriale di Tano Malannino (presidente di Altragricoltura) del 2.11.20