La pagina dell’ANSA dedicata a cibo, alimentazione e agroalimentare ha dato ampio risalto alla notizia di uno studio di Longevitystudio che ha rielaborato i dati offerti dal Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat.
La nostra aspettativa di vita sta diminuendo, con buona pace di quanti credono alle progressive sorti della modernità.
La speranza di vita alla nascita, che nel 2019 era di 83,2 anni rispetto agli 81,7 del 2010, nel 2020 si è ridotta di quasi 1 anno, attestandosi a 82,3 anni. Certo, ha inciso l’aumento della mortalità dovuta al Covid-19, ma è indubbio che non possiamo che registrare un peggioramento generale dei nostri stili di vita alimentare.
Roberto Volpe, ricercatore medico del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr) sottolinea proprio questo secondo aspetto e noi non possiamo che ricordare come da più parti sia venuta avanti la presa d’atto di come la pandemia da COVID19 (come l’aumento e il riprodursi di altre pandemie) sia da collegare ad un peggioramento generale delle condizioni ambientali.
Lo studio di Longevitystudio confronta i risultati del Rapporto dell’Istat con due indagini scientifiche: quella di Federico Scarmozzino e Francesco Visioli dell’Università di Padova, pubblicata dalla rivista Foods, e quella dell’Università di Milano di Laura Di Renzo, pubblicata dal Journal of Translational Medicine.
I due studi realizzati durante il primo lockdown italiano, evidenziano come “si sia verificata nel 2020 un aumento del consumo di frutta e verdura del 21,2% negli intervistati, ma soprattutto un aumento delle quantità di cibo consumato del 46,1%, con una particolare incidenza degli alimenti considerati di conforto, come cioccolata, gelati e dolci del 42,5% e snack salati del 23,5%.
Il rapporto riflette su come sia necessario che “in attesa che il lavoro e l’economia tornino a crescere si possa far qualcosa per migliorare il nostro stile di vita e riprendere a guadagnare anni”.
Grandi, dunque, sono le contraddizioni che ci consegna questa fase di confinamento indotto dalla pandemia e grande è la necessità di riflettere sui cambiamenti profondi cui siamo chiamati; cambiamenti nelle scelte sociali e politiche ma, anche e inevitabilmente, nei comportamenti individuali.
Se il consumo di frutta, verdura, formaggi si estende ma aumentano anche quelli di cibi dannosi per la salute, allora dobbiamo fare delle scelte e dobbiamo farle sia sul piano sociale che individuale.
“A tal riguardo, ancora una volta, appare importante e fondamentale- conclude Volpe- il ruolo preventivo e terapeutico dell’alimentazione. Lo storico modello alimentare mediterraneo, caratterizzato- incalza- da alimenti prevalentemente di origine vegetale, ma anche di origine animale, come il pesce o il moderato consumo di latte, latticini, uova e parti magre dei cibi carnei, continua a rappresentare un punto di riferimento del mondo della nutrizione”.