«La nostra missione è accogliere chi dice “no” al caporalato, alla vita nelle baracche, alla connivenza con la criminalità organizzata». Così esordisce Papa Latyr Faye ai microfoni di Radio Iafue, oggi 16 dicembre. Papa Latyr Faye, detto Hervé, è uno dei referenti storici di Casa Sankara, un’oasi di autogestione, autonomia e alternative, nelle terre desolate del caporalato, situata a San Severo, in Puglia, dove le contraddizioni dello sfruttamento della manodopera migrante sono tra le più evidenti.
Casa Sankara viene inaugurata il 27 luglio 2013 da alcuni fuoriusciti del ghetto di Rignano Garganico, uno dei tanti ‘inferni sulla Terra’ organizzati direttamente per la coltivazione dei pomodori in condizioni di miseria assoluta. Il ghetto era una baraccopoli di plastica e legno, dove la vita si pagava con il lavoro estenuante delle braccia nei campi di pomodori o con il sesso a pagamento. Una vita schiacciata dai caporali, manovrati dalla criminalità organizzata, dalle multinazionali dell’agroalimentare, dalla politica silente e assente.
Casa Sankara è riuscita, negli anni, a diventare un’alternativa tangibile alla vita dei migranti sotto al caporalato, svuotando completamente di senso il ghetto, dove chi ci viveva era completamente isolato dalla società, abbrutito, sfruttato.
L’obiettivo principale, afferma Hervé, è quello creare uno spazio in cui le persone che vogliono scappare dalla minaccia concreta del caporalato, sappiano di poter contare su un’organizzazione le cui energie sono spese interamente su questo campo, creando accoglienza, condivisione e una rete di solidarietà e sostegno.
Ma la missione di Casa Sankara va ben oltre la semplice accoglienza dei migranti.
Ormai Casa Sankara conta più di 500 persone, impegnate tutte nei progetti di integrazione e ri-attivazione in un contesto lavorativo tutelato, legale. In questo senso il progetto RIACCOLTO (acronimo che sta per Riscatto Impegno Accoglienza Cooperazione Condivisione Occupazione Legalità Trasformazione Opportunità), rappresenta la possibilità per i migranti di San Severo di lavorare in una filiera etica, mettendo al centro il loro protagonismo.
Casa Sankara è un modello positivo, che ormai è riuscito a rispondere pienamente al bisogno di integrazione, di autonomia e di sostegno dei migranti, rappresentando così una concreta esperienza esemplare che potrebbe stimolare nuove lotte, nuovi percorsi, anche altrove.
Un modello che ha, insomma, dimostrato pienamente le sue potenzialità. Come esportarlo, dunque? Come fare in modo che esperienze del genere possano essere replicate in altri territori?
Hervé, in questo, senso è convinto che non si possono costruire progetti solidali come Casa Sankara senza l’impegno delle istituzioni: «noi non possiamo sostituirci alle istituzioni nella lotta al caporalato, però sappiamo che quando si vuole lottare contro la criminalità organizzata, si deve lavorare in sinergia. Per gli uomini e le donne di Casa Sankara è un dovere comprendere che anche altri migranti hanno bisogno di questi interventi e ci si può fermare davanti alle proprie conquiste».
Nonostante questo necessario anello di giunzione con le istituzioni e la politica, dunque, il protagonismo dei migranti nelle lotte rimane una questione fondamentale. Gli uomini e le donne di Casa Sankara non hanno mai voluto passare da una condizione di sfruttati ed emarginati a quella di assistiti. L’autonomia e l’autogestione, in un contesto in cui il soggetto migrante non ha né voce, né rappresentanza, che rappresentano delle vere e proprie parole d’ordine, una modalità di azione concreta.