In Italia noi #lavoratrici della #terra siamo circa il 30% e, secondo le statistiche, siamo la punta di diamante dell’innovazione in senso ecologico. Flessibili ai cambiamenti, piene di idee e originalità, soffriamo però di una penalizzazione fortissima: siamo donne.
Le problematiche che viviamo sulla nostra pelle sono comuni a quelle degli uomini, ma su di noi assumono un peso differente perchè c’è poca attenzione alla nostra vera professionalità: siamo ancora un po’ un fenomeno da baraccone se riusciamo molto bene nel nostro lavoro e occupiamo quel posticino residuale nella top ten dei lavoratori che ci vuole culturalmente soggetti deboli da tutelare, non attrici reali del mondo agricolo in evoluzione. Questo accade perchè non siamo presenti nelle sedi dove si costruiscono le decisioni opportune e non lo siamo perchè abbiamo una giornata di lavoro più lunga rispetto ai nostri colleghi maschi, sia che si tratti di lavoro per il mercato (remunerato), sia che si tratti di lavoro per la famiglia (non remunerato).
L’attuazione delle politiche di conciliazione, però, non riguarda il nostro settore ritenuto primario dal punto di vista produttivo ( ma non dei diritti) e non sarebbe comunque sufficiente perchè il ruolo che svolgiamo in termini di conservazione del pianeta, di perpetuazione della biodiversità, di gestione unitaria di famiglia e azienda, non può che andare verso il reddito di cura, un concetto nuovo che potrebbe renderci un po’ di giustizia sul piano dell’approccio di genere, totalmente assente nel mondo in cui vivo io.
Le #braccianti, invece, vivono pressochè dimenticate. Oggetto di schiavitù reale e anche sessuale, sono vittime del caporalato molto più degli uomini perchè spesso, per proteggere i loro figli, sono costrette a piegarsi a tutto.
Paola Clemente prendeva l’autobus ogni notte alle tre e mezza dal suo paese, San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, per raggiungere Andria, a 160km di distanza. Lavorava nei campi fino alle tre e mezza del pomeriggio, per riprendere l’autobus per altre due ore. È morta il 13 luglio 2015, a 49 anni, per un attacco di cuore dovuto a una cardiopatia, ma più verosimilmente per le assurde condizioni di lavoro (S. Prandi)
Un racconto lungo come il filo della vita nella terra e una foto su un trattore solo per dire che il #primo #maggio non è un giorno, ma un luogo: coincide con lo spazio in cui neghiamo la dignità soprattutto alle donne e alle donne povere, secondo una scala di “valore” che si regge solo nell’ambito della società del capitale e della morte.