tratto de Il Manifesto (leggi articolo originale)
La crisi sanitaria per il covid-19 è soprattutto una crisi di sistema. La fragilità dei meccanismi di approvvigionamento alimentare in un mondo globalizzato si stanno facendo sentire anche in un settore strategico come quello agricolo. Grandi e piccole imprese soffrono per la mancanza di manodopera e per la crisi del settore della ristorazione e del turismo. Altre invece, iscritte in un sistema di distribuzione su piccola scala, secondo i principi della filiera corta, magari con sistemi di vendita diretta produttore-consumatore, traggono vantaggio e, in alcuni casi, faticano a rispondere all’aumento della domanda.
Mai come in questo momento, la resilienza dei sistemi di produzione e di distribuzione è stata così importante, di fronte a una crisi che potrebbe essere anche alimentare. A lanciare l’allarme è la Fao: potremmo essere alla vigilia di una «crisi alimentare mondiale». Sono possibili «interruzioni nelle catene di approvvigionamento alimentare globale già a partire dai mesi di aprile e maggio» come diretta conseguenza delle «perturbazioni del mercato, specialmente nei paesi colpiti dal virus o già colpiti da elevati livelli di insicurezza alimentare».
A pagare il prezzo più alto di questa crisi sono quelle aziende agricole legate a sistemi di distribuzione internazionale. La produzione della patata in Belgio (16 volte superiore al fabbisogno nazionale) è in crisi soprattutto per le difficoltà logistiche legate all’esportazione. Cosi come tutto il comparto agroalimentare del made in Italy, duramente colpito dalla chiusura di tutte le attività legate alla ristorazione. In difficoltà anche le aziende che hanno scelto come principale canale di vendita i mercati rionali e contadini. «Perché i mercati all’aria aperta, probabilmente meno esposti dei supermercati alla diffusione del virus, non possano avere in pochi giorni norme di sicurezza compatibili con la situazione?» è la domanda che si pone la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini. Stessa situazione in Spagna dove il sindacato dei piccoli produttori, Union Labrego de Galice, attira l’attenzione sulla «forza di una società capace di organizzare mercati locali, rendendo più resiliente la società in un momento di crisi come quella del coronavirus». Più duro, in Canada, il Sindacato nazionale degli agricoltori, che sul divieto dei mercati parla di «pregiudizio economico per gli agricoltori locali, che penalizza i consumatori dall’approvigionarsi di prodotti sani e sicuri».
Ma è la mancanza di manodopera a preoccupare maggiormente il settore agricolo. In Italia, secondo le stime della Coldiretti, all’appello mancano 370 mila braccianti provenienti principalmente da Romania, Bulgaria e Polonia. Stessa situazione in Germania, dove governo e organizzazioni di categoria, per far fronte a 300 mila lavoratori stagionali in meno, hanno lanciato una serie di piattaforme digitali per mettere in contatto produttori e lavoratori rimasti a casa con la chiusura di ristoranti, bar e caffè. Iniziativa simile nel Regno unito dove, per far fronte alla mancanza di 70 mila braccianti, il National federation of young farmers’ clubs ha creato una piattaforma digitale per incoraggiare, soprattutto gli studenti, al lavoro stagionale in fattoria.
Proprio la tecnologia ha saputo offrire alternative al settore agricolo in difficoltà. In Cina, primo paese colpito dal coronavirus, la rete dei piccoli contadini riuniti in forme di distribuzione diretta fra produttori e consumatori, note come Csa (community supported agriculture), sono riusciti a far fronte a una esplosione della domanda tramite un sistema di ordini on-line con una inedita cooperazione con le piattaforme digitali di e-commerce. Il cambio di strategia ha richiesto agli agricoltori un rapido adattamento a nuove dinamiche per la registrazione di ordini e la consegna dei prodotti. È il caso della rete dei piccoli contadini dell’area metropolitana di Porto Alegre, in Brasile, dove si sta sperimentando una app per la consegna dei prodotti agricoli a domicilio con la collaborazione dei tassisti, rimasti senza lavoro per il crollo delle attività turistiche.
«Faccio un appello ai governanti affinché vengano messe in atto politiche pubbliche per rinforzare l’agricoltura contadina e familiare, perché capace di arginare la crisi alimentare che potrebbe far seguito a quella sanitaria», è l’appello di Joao Pedro Stedile, coordinatore del movimento contadino Sem terra del Brasile. «Questa crisi mette in evidenza la vulnerabilità del nostro sistema alimentare globale, e la situazione è destinata a peggiorare se non investiamo nella costruzione di un sistema alimentare locale, resiliente e diversificato», è l’allarme lanciato dalla Landworkers’ Alliance, sindacato di base dei piccoli produttori britannici. Un appello a cui si associa anche l’Ari, Associazione rurale italiana, che ha dichiarato in un comunicato del 19 marzo: «Quando questa situazione di emergenza avrà fine, non saranno le immissioni di liquidità a determinare la ripresa, ma la capacità, la volontà, la resistenza e l’autonomia produttiva di contadini, artigiani, piccole e medie aziende che operano a livello locale, la vera struttura portante dell’economia nazionale».
In un contesto di crisi generalizzata sono le piccole realtà, fortemente ancorate al proprio tessuto economico e sociale, con sistemi di vendita diretta, secondo i principi della filiera corta, basate sulla solidarietà fra produttori e consumatori, a resistere ed in alcuni casi a registrare un aumento della domanda. A certificare questa tendenza è l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare) che in rapporto pubblicato a fine marzo registra la solidità dei «canali di distribuzione diretti o secondo i principi della filiera corta con incrementi importanti anche nei punti vendita di ridotte dimensioni dove le vendite sono aumentate nel complesso del 17% rispetto allo scorso anno». In Belgio, alla chiusura dei mercati nei centri urbani i produttori hanno risposto con la vendita diretta in campo, con una domanda che supera ampiamente l’offerta. Iniziative che hanno spinto personalità del mondo accademico e della società civile belga a riconoscere «l’autonomia alimentare come fattore strategico per la sicurezza nazionale».
Alla vigilia del 17 aprile, giornata mondiale della lotta contadina, l’associazione mondiale via Campesina, da anni attiva nella difesa dei piccoli produttori, lancia un appello: « Se continuiamo a saccheggiare le risorse naturali, a considerare la terra e la mano d’opera come una merce qualsiasi, a produrre la nostra alimentazione secondo le logiche del mercato e dell’industria standardizzata, come faremo ad affrontare la diminuzione di biodiversità e le conseguenze sanitarie e agronomiche del cambiamento climatico?»