tratto da Italianfruit (leggi articolo originale)
E’ lo specchio di una filiera povera: povera di valori e – purtroppo – di valore. La settimana scorsa la faccia peggiore dell’ortofrutta è tornata a far parlare di sé quando, sui media nazionali, si sono riaccesi i riflettori sulla rivolta dei braccianti sikh nell’Agro Pontino (clicca qui per leggere l’articolo pubblicato da La Stampa). I giornali hanno raccontato una storia di sfruttamento del lavoro nelle serre dislocate in provincia di Latina, dove vengono coltivati gli ortaggi che finiscono sulle tavole di mezza Italia, e dove questi uomini provenienti per lo più da India e Pakistan si trovano a lavorare in condizioni disumane, distanti anni luce da quelli che dovrebbero essere gli standard di un Paese moderno. Insomma, una storia di caporalato e di violenze a due passi dalla capitale che va avanti da anni nell’indifferenza generale.
Un’indifferenza che – con le dovute proporzioni – ricorda quella che le istituzioni hanno nei confronti del settore ortofrutticolo. Quando una filiera si concentra solo sull’ottenere il prezzo più basso possibile – con strumenti leciti e non – efficienza e illegalità tendono inevitabilmente a mescolarsi. Non è giusto, sia chiaro, ma è praticamente inevitabile: perché le imprese più virtuose fanno di tutto per ottimizzare la propria efficienza, altre, invece, ricorrono a sotterfugi e alternative illegali per vincere la sfida del prezzo.
Una vittoria di Pirro. Non può certamente essere il prezzo – soprattutto se parliamo di una manciata di centesimi – il vero obiettivo di una filiera come quella ortofrutticola, che vanta prodotti di assoluta qualità ed è capace di esportare merci per oltre cinque miliardi di euro. Poco meno del più blasonato comparto vinicolo. A proposito di vino, perché non si sente mai parlare di lavoratori sfruttati per la raccolta dell’uva da vino? E nemmeno nel lattiero-caseario, dove la manodopera dei sikh è diventata di vitale importanza per il settore, si legge di sfruttamento o caporalato: i sikh che prestano la loro opera nelle stalle della Pianura Padana sono generalmente ben pagati e ben integrati nella società.
Non sarà che vino e formaggi sono per i consumatori prodotti dall’alto valore, che permettono quindi una giusta remunerazione dell’intera filiera, braccianti compresi? Ecco, quando si cerca di spendere poco – questo il consumatore lo deve sapere quando cerca un ortaggio o un frutto a 0,99 euro il chilo – si mette in crisi tutto il sistema. Il valore può essere un antidoto per contrastare certi fenomeni che non rendono onore all’ortofrutta Made in Italy.