tratto da Il Giornale (leggi articolo originale)
E l’Italia? L’allarme dei biologi francesi sullo stato della biodiversità Oltralpe e sugli effetti dell’uso crescente dei pesticidi in Europa, può essere allargato anche al nostro Paese? «Concordo al cento per cento con i colleghi», dice Francesco Petretti, docente di biologia della conservazione all’Università di Perugia e wildlife management all’università di Camerino. «Spesso in Italia si confonde la biodiversità con l’incremento delle superfici boschive. A parte che il fenomeno è per lo più dovuto all’abbandono di territori montani, bisogna aver chiaro che non si vive di solo bosco. Un ambiente vario ha bisogno di prati, di campi, di zone pascolate dal bestiame e quindi di aree dove alberi e arbusti siano assenti». «Il 70% della biodiversità in Italia», dice Petretti, volto noto della tv con i suoi documentari e interventi alla trasmissione Geo, «dipende dall’agricoltura, e non mi riferisco solo agli uccelli di campagna, oggetto della ricerca francese, ma anche agli invertebrati e perfino al lupo. La vita selvatica in Italia viaggia a due velocità: un incremento pazzesco di grandi specie che possono attingere a risorse alimentari offerte dagli uomini inconsapevolmente e cioè le monoculture per i cinghiali, animali erbivori per i lupi, rifiuti urbani per volpi, gabbiani e cornacchie, le coltivazioni di olive per gli storni; viceversa assistiamo a un crollo drammatico delle forme di vita più piccole, insetti, anfibi, rettili, piccoli uccelli. Possiamo dire che il rospo comune italiano è quasi estinto a causa della scomparsa di habitat come stagni e fontanili». Quello che allarma è l’aumento delle popolazioni di «alieni, nuove specie che si aggiungono e creano squilibri difficilmente quantificabili. Tra le acquisizioni più recenti – spiega Petretti – segnalo il merlo indiano, l’ibis sacro e la maina. Se è in forte espansione la popolazione degli aironi è perché si nutrono del gambero killer americano, una specie aliena che ha danneggiato il gambero autoctono. Mentre è decisamente drammatica anche in Italia la situazione dei volatili di campagna, soprattutto nella valle del Po dove l’agricoltura intensiva è più presente. Ormai è rarissimo incontrare il saltimpalo, lo zigolo, la sterpazzola». Petretti, come i biologi francesi, chiede all’Europa un cambio di rotta nei sussidi che incentivano l’uso dei pesticidi e politiche agricole amiche della varietà del paesaggio, attente alle coltivazioni tradizionali e locali. Ha da poco pubblicato Luoghi quasi selvaggi (Orme, pag. 207), una sorta di Grand Tour, lungo una vita, di un naturalista italiano nella sua amata Italia. Petretti non cede mai al catastrofismo ambientalista; più del cambiamento climatico sembra preoccuparlo l’ideologia metropolitana e globalista: «A chi vive e lavora in campagna sono disposto a perdonare anche la caccia. Chi non conosce la vita selvatica e vive in città, vuole difendere tutto, a tutti i costi, in modo miope e ottuso». La Natura, come la vita, è cambiamento e questo turba chi ha perso contatto con entrambe. Il problema non sono i gabbiani o i cinghiali che invadono la città, ma la spazzatura che li attira. È più grave l’invasione dei pappagalli nei parchi o i 50mila ettari di bosco e campagne persi in Italia ogni anno, magari per dare spazio ai pannelli solari? Il clima cambia, porta morte e nuova linfa, altro spettacolo. La pernice bianca scompare dai ghiacciai delle Alpi, i fenicotteri, con gli inverni sempre più miti, conquistano la laguna di Venezia.