fonte: S.I.VE.M.P Veneto (vedi articolo originale)
Fino a 800 nel 2030. Aggregazione di produttori, innovazione tecnologica, formazione manageriale per i titolari di allevamenti. Sono solo alcune strategie che, se messe in atto, potrebbero salvare il settore lattiero-caseario italiano dall’inarrestabile emorragia di allevamenti in atto da tempo.
Lo stabilisce la ricerca biennale sugli scenari alternativi per l’azienda da latte del 2030 (Innovalatte 2030) finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e InterPuls e coordinata dal Crpa in collaborazione con l’Università di Bologna, l’Università olandese di Wageningen e la Fondazione Rosselli di Torino. Per capire quale sarà il trend delle aziende da latte nei prossimi anni bastano alcuni dati Agea elaborati dal Crpa.
Nella campagna lattiero-casearia 2003/2004, quando Agea istituì il registro pubblico delle quote latte, furono consegnati 10,8 milioni t di latte prodotto da 61.000 allevatori. Nella campagna 2011/2012 la produzione rimase invariata, ma il numero di stalle era sceso a 37.000. Analogo l’andamento per l’Emilia-Romagna, dove neanche la specializzazione verso una Dop come il Parmigiano Reggiano ha arrestato l’emorragia di allevamenti. Che dal 2000 al 2010 sono passati da 4.790 a 3.800, ferma restando la produzione sull’1,7-1,8 milioni t di latte.
Sulla scia di questo trend quale sarà il futuro delle aziende da latte? Spiega Alberto Menghi, Crpa: «Abbiamo ipotizzato nel comprensorio del Parmigiano Reggiano una situazione cautelativa in cui nel giro di 10 anni le dimensioni aziendali cresceranno, gli allevamenti sotto 50 capi scompariranno e la produzione di latte aumenterà del 5% a seguito dell’abolizione delle quote. In base a tali ipotesi, calcoliamo che in Emilia-Romagna si potrebbe passare in 10 anni da 3500 a 1700 aziende da latte e un’ulteriore proiezione al 2030 indica che potrebbero restare attive sul territorio 800 aziende.
Arrestare questo processo non è possibile, ma rallentarlo sì. Come? Attraverso l’aggregazione dei produttori e l’innovazione tecnologica». E precisa: «Per i prodotti Dop si potrebbero creare delle interprofessioni. Già da soli i formaggi Dop Asiago, Gorgonzola, Parmigiano Reggiano e Grana Padano sarebbero in grado di regolare la produzione del 46% circa del latte nazionale. Tra i produttori di latte a uso alimentare servirebbe una Op nazionale, che potrebbe regolare almeno la produzione del 33% di latte, come previsto dal Pacchetto latte. Questo ci permetterebbe di contrattare il prezzo del latte con le principali industrie casearie italiane e mondiali. Quanto all’innovazione tecnologica, dovrà venire sviluppata o comunque testata sul territorio nazionale e richiedere livelli bassi di manutenzione».
Altri fattori strategici riguardano «il rafforzamento dei disciplinari Dop, una formazione manageriale per i titolari d’azienda e una tecnica per gli addetti di stalla».
Alessandra Ferretti, Terra e Vita.