Pubblicato su ilcambiamento.it (vedi articolo originale)
Europarlamento, Consiglio e Commissione europea hanno raggiunto ieri un accordo sulla riforma della Politica agricola comune (Pac). “Troppo pochi gli sforzi per un’agricoltura più verde, giovane e di piccola scala”, afferma Slow Food. “Molte parole e pochi fatto per una falsa riforma che non aiuta né l’ambiente né l’economia”, commentano le Associazioni del mondo ambientalista e dell’agricoltura biologica.
Con la conclusione del dialogo a tre (tra Consiglio dei Ministri dei Paesi membri, Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo e Commissione Europea per l’agricoltura e lo sviluppo rurale) la Politica Agricola Comune verso il 2020 è stata ieri definita in quasi tutti i suoi aspetti principali. “Possiamo affermare con certezza che la nuova PAC non ha centrato gli obiettivi che si era data, volti a orientare l’agricoltura europea in maniera ‘più verde e più equa’. Tanto più sono state disattese le speranze della società civile, che aveva chiesto ‘soldi pubblici per beni pubblici’, cioè che le risorse comuni fossero destinate a obiettivi e beni comuni”.
Slow Food giudica quanto meno con freddezza gli accordi a cui si è giunti, soprattutto perché lasciano troppa discrezionalità agli Stati Membri su questioni fondamentali, come il supporto ai piccoli agricoltori, il tetto massimo e la riduzione dei pagamenti più ingenti in favore di chi riceve meno (l’80% degli agricoltori europei), lo spostamento di risorse dal pilastro riservato allo sviluppo rurale in favore di quello, già preponderante, legato ai pagamenti diretti.
“Una vera Politica Comune dovrebbe essere comune, e non interpretabile o ridefinibile a seconda degli interessi nazionali, che purtroppo generalmente vengono facilmente orientati dalle lobbies in favore di grandi produzioni e monocolture”, ha commentato a caldo Carlo Petrini, presidente di Slow Food. Si può parlare di ‘de-europeizzazione’ della PAC: “É chiaro che ora la nostra azione per un’agricoltura più verde e più equa dovrà spostarsi in direzione dei Governi nazionali, per fare pressione affinché la piccola agricoltura sostenibile non sia troppo penalizzata. La partita non è affatto finita”.
Per quanto riguarda il cosiddetto ‘greening’ – le misure ecologiche da realizzare per ricevere il 30% dei pagamenti diretti – purtroppo il punto di partenza rimane debole. È una misura di principio importante, ma che nei suoi regolamenti attuativi rischia di esentare il 60% delle terre coltivate in Europa.
La mancanza di un meccanismo di monitoraggio sull’impatto che la PAC potrà avere sui Paesi poveri o in via di sviluppo, poi, ci sembra non indichi una vera volontà di porre fine a pratiche commerciali che possono influire in maniera decisa sui problemi della fame, della malnutrizione e l’affermazione della sovranità alimentare delle comunità del mondo.
I pochi miglioramenti che ci sono stati come un lieve aumento del sussidio ai giovani agricoltori o la semplificazione burocratica per le piccole aziende, non sono tuttavia sufficienti a orientare un giudizio che rimane complessivamente negativo.
“Molte parole e pochi fatto per una falsa riforma che non aiuta né l’ambiente né l’economia”. È questo il Commento critico delle Associazioni del mondo ambientalista e dell’agricoltura biologica sulla riforma della PAC 2014 – 2020.
L’accordo finale del ‘trilogo’ europeo (Parlamento, Consiglio e Commissione) sulla riforma della Politica Agricola Comune (PAC) è una delusione per le 14 Associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica (AIAB, Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, FAI, Federbio – Upbio, FIRAB, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Slow Food, Touring Club Italiano, Pro Natura, Società Italiana Ecologia del Paesaggio, WWF). Per le Associazioni si tratta nella sostanza di una falsa riforma che non avrà sostanziali ricadute positive sulla tutela dell’ambiente, sulla salute dei cittadini, sulla competitività e l’innovazione delle imprese agricole italiane ed europee.
“Molte parole e pochi fatti concreti per una falsa riforma della PAC che non aiuta né l’ambiente né l’economia, confermando i sussidi all’agricoltura industriale ed i vecchi privilegi senza introdurre vere innovazioni per una maggiore competitività e sostenibilità ambientale ed economica delle nostre imprese agricole. In questo momento di crisi economica era necessaria una svolta radicale per l’agricoltura europea ed italiana verso un nuovo modello in grado di premiare le aziende agricole più virtuose, che producono maggiori benefici per la società, cibo sano, tutela dell’ambiente e capacità di creare lavoro per i giovani. Questo si aspettavano i cittadini Europei e invece ancora una volta si è perso un’occasione storica di cambiamento”, ha dichiarato la portavoce del Tavolo Maria Grazia Mammuccini.
Sono numerosi i motivi di delusione per le 14Associazioni ambientalistee dell’agricoltura biologica per una annunciata riforma della PAC che non avrà nella quotidiana gestione delle pratiche agricole delle effettive ricadute positive per la tutela della biodiversità, il contrasto e adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile dell’acqua, il sostegno all’agricoltura biologica e multifunzionale, come ad esempio:
La spesa minima obbligatoria per le misure agro-climatiche-ambientali: prevista una spesa minima obbligatoria del 30% per le risorse nello sviluppo rurale, si sono però drasticamente ampliate le misure ammissibili per includere anche quelle con poco o nessun effetto ambientale positivo. Le Associazioni ambientaliste e del biologico chiedevano per questo un aumento al 50%. Con l’inclusione delle spese per investimenti materiali (per cui già si spendono in media il 22% del budget) l’aumento del 5% sarà facile da raggiungere e non produrrà concretamente nessun reale beneficio per l’ambiente.
– Direttive UE su acqua e pesticidi: cancellato il vincolo del rispetto delle norme in applicazione delle due direttive da parte di tutte le aziende agricole che ricevono contributi dalla PAC (condizionalità), in cambio è stata prevista una consulenza tecnica obbligatoria per le aziende agricole sulle materie relative all’applicazione delle due direttive. Questa norma non garantisce il rispetto delle due direttive da parte degli agricoltori perché non ci sarà nessun collegamento diretto con i sussidi che ricevono e rischia di rendere non efficace l’applicazione del Piano di Azione sull’uso sostenibile dei pesticidi che l’Italia deve ancora adottare per le forti resistenze delle lobby dell’agricoltura convenzionale basata sulla chimica.
– Aree d’interesse ecologico – EFA: per le superfici aziendali destinate alla tutela della biodiversità ed infrastrutture verdi è stata fissata la percentuale del 5% dal 2015 che potrà essere elevata al 7%, solo dopo una valutazione da parte della Commissione UE e successivo processo di codecisione con il Parlamento e il Consiglio, ma nessuna data per questa revisione è stata ancora fissata (potrebbe essere il 31 marzo 2017). La soglia per l’obbligo di applicazione delle EFA è stata fissata a 15 ettari, viene pertanto esclusa il 35,5% della superficie agricola in Europa.
La dimensione media delle aziende agricole italiane è 8 ettari, da questa norma del greening saranno pertanto escluse la maggioranza delle aziende agricole del nostro paese. Vengono inoltre ricomprese nelle EFA le superfici con colture che fissano l’azoto, il bosco ceduo a rotazione e le colture intercalari.
– Greening e diversificazione delle colture (articolo 30): a parte il positivo riconoscimento dell’agricoltura biologica l’accordo prevede anche un principio di equivalenza discutibile ed esenzioni per le pratiche agro-ambientali di basso livello, che svuotano l’ecocompatibilità di tutta la sostanza. Per accedere ai finanziamenti del greening (30% del pagamento base) sono esentate da questa norma le aziende al di sotto di 10 ettari (33% della superficie agricola in Europa) e tra i 10 e 30 ha sono necessarie solo 2 colture, con la coltura principale che non copre più del 75% della superficie (questo significa che il 46% della superficie agricola europea è esente da uno dei tre requisi del greening) le aziende sopra i 30 ha, sono obbligate a tre colture, con la principale copertura massima del 75% e le due principali colture insieme per massimo del 95%. La dimensione media delle aziende agricole italiane è 8 ettari, anche da questa norma del greening saranno pertanto escluse la maggioranza delle aziende agricole del nostro paese.
Nessun reale rafforzamento del secondo pilastro sullo sviluppo rurale vero strumento strategico per le imprese agricole e per il territorio nel quale la conferma della previsione del finanziamento degli strumenti assicurativi contro le calamità naturali e la stabilizzazione dei redditi, misure estranee allo Sviluppo Rurale e che dovevano caso mai essere trasferite nel primo pilastro, finiranno per assorbire una parte rilevante delle risorse disponibili.
Dopo l’approvazione definitiva dei regolamenti comunitari per la PAC si aprirà il processo di programmazione 2014 – 2020 a livello nazionale e regionale dove utilizzando gli elementi di flessibilità a disposizione ci sarà la possibilità di migliorare rispetto a quanto è stato approvato a livello europeo. L’impostazione degli strumenti operativi da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e delle Regioni renderà evidente la reale volontà di scegliere un’agricoltura più sostenibile per l’ambiente, attenta ai beni comuni e all’interesse generale. Le 14 Associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica auspicano che almeno per questo nei prossimi mesi ci sia un ampio e costruttivo confronto con tutte le parti sociali ed economiche interessate all’attuazione della futura PAC.